Il progetto di un’estetica dell’esistenza inizia a delinearsi nell’ultima fase della riflessione di Michel Foucault. Nella primavera del 1983, circa un anno prima di morire, nel corso di un colloquio svoltosi a Berkeley, l’autore della Storia della sessualità afferma:
«L’idea del βίος come materiale per un’opera d’arte estetica è qualcosa che mi affascina. […] Quello che mi colpisce è che nella nostra società l’arte sia diventata qualcosa che è in relazione soltanto con gli oggetti, e non con gli individui o con la vita. E che l’arte sia qualcosa di specializzato, e che sia fatta da quegli esperti che sono gli artisti. Ma perché la vita di tutti gli individui non potrebbe diventare un’opera d’arte?».
Michel Foucault, Sulla geneaologia dell’etica: compedio di un work in progress, in H.L Dreyfus, Paul Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, Ponte alle Grazie, Firenze 1989, pp. 263-265.
L’idea della vita come opera d’arte può essere tuttavia fuorviante. La stessa espressione “estetica dell’esistenza”, dobbiamo ammetterlo, suscita subito una certa diffidenza e sembra stridere come un ossimoro. Se al termine esistenza associamo profondità, responsabilità e impegno, la nozione di estetica evoca invece la superficie delle cose, la bella apparenza, l’effimero divertissement. Tuttavia l’estetica dell’esistenza non ha nulla a che vedere con un vacuo estetismo, con la ricerca del piacere, dell’esperienza unica e irripetibile o con una qualche forma di vita spettacolare.
L’estetica dell’esistenza di cui parla Foucault si configura come una ripresa della vocazione originaria della filosofia, che, fin da subito, ha inteso se stessa come esercizio e cura prima ancora che come una forma di conoscenza. Ma che rapporto sussiste tra cura di sé e dimensione estetica? Non rischia un simile approccio di incorrere nelle critiche che Platone muove ai sofisti?
Nel Gorgia Socrate sostiene che curare l’anima con la retorica, anziché con la filosofia, sarebbe un po’ come pretendere di curare il corpo ricorrendo alla culinaria o alla cosmetica, anziché alla ginnastica e alla medicina. Quelle hanno di mira il piacere, queste la salute. Tra le arti della salute, nella Repubblica, Platone accorda un primato alla ginnastica. Questa, infatti, diversamente dalla medicina, non cura il corpo quando è già malato, ma previene la malattia. Allo stesso modo l’esercizio della filosofia non vuole curare gli stati patologici, ma dar forma e vigore all’anima per prepararla ad affrontare la vita con il suo fisiologico carico di sofferenza.
Ecco, in ultimo, il senso di un’estetica dell’esistenza: essa è un certo modo di vedere la vita come un’arte di plasmare la vita, come un’attività autopoietica, come una continua creazione di sé.
Molto interessante, una prospettiva dinamica che mette sotto esame l’intera esistenza del singolo. Ma dire “una prospettiva” mi sembra ingannevole, preferisco definirla una prospettiva “quantistica”: un punto di vista presente contemporaneamente in diverse dimensioni. Complimenti!